Blocco #5 - Guerra permanente
La guerra è la continuazione della diplomazia, ma con altri mezzi [C. Clausewitz]
Uno dei desideri più richiesti da sempre è la pace nel mondo. Ma cosa è la pace? Il dizionario suggerisce la seguente definizione: “condizione di normalità di rapporti, di assenza di guerre e conflitti, sia all’interno di un popolo sia all’esterno, con altri popoli”. E' una definizione un po' triste, perché descrive la pace come assenza di guerra, in modo simile a quanto accade al buio (assenza di luce) e al silenzio (assenza di rumore). Se vogliamo il buio, dobbiamo spegnere la luce. Se vogliamo silenzio, dobbiamo chiudere la porta. Ma per farlo dobbiamo prima sapere cosa è la luce, o almeno sapere come funziona un interruttore (o una maniglia). Tutto ciò suggerisce il moto si vis pacem, disce bellum: se vuoi la pace, studia la guerra. Bene, proviamoci.
Secondo Carl von Clausewitz, generale prussiano del XIX secolo, la guerra consta principalmente di tre aspetti
Uso di una forza fisica cieca
Un gioco di fortuna che premia gli spiriti creativi
La continuazione della diplomazia, ma con altri mezzi
Iniziamo dal primo punto. L'uso di un'arma è sempre una forza cieca, qualcosa che non distingue tra buoni e cattivi. Una volta premuto il grilletto non si è mai certi al 100% che l'arma farà male solo al nemico. Ad un proiettile vagante non importa che tu sia colpevole o innocente. Se usata male, una bomba intelligente uccide tutti, buoni e cattivi.
Veniamo al secondo punto, il gioco di fortuna. Al contrario di un accordo diplomatico, che prevede clausole precise, lo scontro bellico implica aspetti imprevedibili. Si dice che “nessun piano di battaglia sopravvive al contatto col nemico”. L'esempio eclatante è la battaglia di Waterloo, zeppa di eventi casuali: la pioggia torrenziale del giorno prima, il malessere di Napoleone nel momento cruciale, l'ispirazione suicida di Ney, il fatto che Wellington fosse già passato da quelle parti in passato, eccetera eccetera. Ecco perché la guerra è un “gioco di fortuna che premia gli spiriti creativi”.
Infine l'ultimo punto, ovvero la guerra come continuazione della diplomazia. Quando due nazioni sono in disaccordo all'inizio si tenta una soluzione diplomatica. Spesso ciò richiede l'intervento di una terza parte, un mediatore o garante, come ad esempio le Nazioni Unite. Le soluzioni offerte dalla diplomazia sono pacifiche ed economiche (nessuna spesa bellica né civile), ma richiedono la presenza di un ente neutrale, qualcuno di cui ambe le parti si fidano. La diplomazia è un modo pacifico, economico e fiduciario di risolvere i conflitti. Quando questo processo fallisce la gestione del conflitto si sposta in ambito militare, che prosegue la trattativa in modo opposto. Infatti la guerra è un modo violento, costoso e trustless di risolvere i conflitti, che non richiede alcuna fiducia o mediazione in una terza parte.
Il fatto che la guerra faccia ricorso alla fortuna, e non richieda intermediari, la rende un processo paradossalmente “democratico”. Cosa è la democrazia, dopotutto, se non l'applicazione pacifica e consensuale della legge del più forte? Grottesco, ma cinicamente vero: guerra e violenza non sono un'invenzione umana, bensì una naturale espressione della nostra natura animale. Perciò, se vogliamo liberarci dall'orrore della guerra, dobbiamo accettare che essa fa parte della nostra natura, in modo simile a come un paziente in terapia psichiatrica deve accettare traumi, paure ed emozioni represse, se vuole guarire.
Chiariamo il concetto. Il fatto che la guerra sia trustless (rispetto alla diplomazia) è una constatazione, non una giustificazione della violenza bellica. La guerra è qualcosa che l'umanità dovrebbe lasciarsi alle spalle, eppure non riusciamo ad estirparla dalla natura umana. Perché la Russia ha invaso l'Ucraina? Perché Israele bombarda la striscia di Gaza? E le guerre di cui nessuno parla, come in Siria, Yemen, Haiti, Etiopia e tante altre? Perché non si riesce a trovare una soluzione diplomatica? La risposta sta nell'aspetto fiduciario della diplomazia: siccome i contendenti non si fidano di uno stesso ente neutrale, viene a mancare l'entità che potrebbe garantire la validità degli accordi. Quando manca la fiducia, gli esseri umani tentano strategie che possano funzionare in modo trustless, esattamente come fanno i bambini in assenza dei genitori: il più forte (o furbo) si impone sul più debole (o ingenuo). Ogni litigio è una piccola guerra.
Ma proviamo a cambiare prospettiva. Invece del punto di vista militare, consideriamo il pensiero di un umanista. Nel suo libro “La cultura dei vinti”, Wolfgang Schivelbusch, filosofo, storico e intellettuale, ipotizza che le guerre moderne siano solo il confronto di due economie.
Le guerre totali dell'età moderna sono state decise da fattori economici piuttosto che militari. La guerra è diventata un fenomeno nel quale le risorse umane e materiali sono inviate sul campo di battaglia per essere distrutte, finché solo la parte economicamente più solida rimane in piedi […] In un ulteriore perfezionamento dello schema, la guerra fredda ha eliminato completamente l'intero processo di distruzione sul campo di battaglia, schierando le economie delle nazioni in lotta direttamente l'una di fronte all'altra.
Da questo punto di vista i mercati azionari non assomigliano a campi di battaglia: sono campi di battaglia. Crisi economiche, bolle finanziarie e inflazione sono le nuove armi di disoccupazione di massa. La politica di Nixon al posto del sole di Hiroshima. La crisi Lehman Brothers come nuova Caporetto. Sanzioni doganali al posto del filo spinato. Trappole fiscali invece che campi minati.
A questo punto Schivelbusch la tocca piano e chiude in bellezza:
In Occidente la minaccia di estinzione collettiva non è più connessa con la guerra ma piuttosto con l'economia, con la doppia minaccia della devastazione ambientale e della disoccupazione.
Parole profetiche, dato che il libro di Schivelbusch è del 2001, quindi precedente alla crisi del 2008 e alle recenti questioni climatiche. Schivelbusch suggerisce che aspirare alla pace nel mondo ignorando l'economia è un po' come cercare di dimagrire senza tener conto del metabolismo, o costruire un motore ignorando le leggi della termodinamica. Se vogliamo estirpare la violenza e cancellare la parola “guerra” dal dizionario, forse dobbiamo prima rimboccarci le maniche e capire cos'è il denaro e perché diamo valore alle cose.
Proviamo a tirare le somme. Siamo partiti dalla definizione di Clausewitz, secondo cui la guerra sarebbe la continuazione della diplomazia, e siamo arrivati a Schivelbusch, che vede i conflitti economici come una nuova forma di guerra mondiale. Mettendo tutto assieme si potrebbe ipotizzare che ogni disputa, disaccordo o conflitto evolve secondo uno schema del genere
Schema che possiamo riassumere sotto forma di dialogo:
- Alt! Questo pezzo di terra è mio: non puoi transitare!
- Ma io ho diritto di passaggio, lo dice la legge
- Lo diceva la legge. Ora che il catasto è fallito, io me ne sbatto
- Allora che facciamo, ci sfidiamo a duello? Ci prendiamo a cazzotti?
- Mah, guarda: io ho più armi e posseggo un auto medica. Sicuro di volere la guerra?
- Vabbè, passo da un’altra parte …
Conclusioni
Le dispute si risolvono tramite diplomazia (pacifica, economica, fiduciaria) oppure mediante la guerra (violenta, costosa, trustless), la quale si manifesta come conflitto militare o economico. Col passare dei secoli, a seguito degli sviluppi tecnologici e sociali, gli aspetti militari sono diventatati meno importanti di quelli economici: le guerre moderne vengono vinte dall'economia più forte, non più dallo spartano di turno. Se aggiungiamo che l'economia moderna comprende strumenti finanziari praticamente virtuali, è plausibile che in futuro la guerra potrebbe diventare un processo virtuale, o almeno digitale. Se così fosse, l'umanità avrebbe trovato il modo di risolvere le dispute senza morti, vittime e feriti.
Qualcosa di simile è successo con la tecnologia: la rivoluzione informatica ha smaterializzato macchinari che prima avevano bisogno di un dispositivo dedicato. Strumenti come telefono fisso, calcolatrice, navigatore GPS, macchina fotografica, cinepresa non hanno più senso di esistere come dispositivi fisici (a parte gli utilizzi professionali), perché si sono evoluti in applicazioni software che girano sullo stesso hardware (un qualsiasi smartphone). Che sia possibile fare altrettanto con la guerra? E' plausibile supporre che in futuro la guerra venga combattuta in modalità softwar, senza danneggiare cose e persone? Se così fosse Star Trek ci avrebbe preso ancora una volta, perché un futuro di questo tipo è stato ipotizzato nel lontano 1967 da Robert Hamner, autore dell'episodio una guerra incredibile.
Figura 5. Guerra virtuale secondo Star Trek [A Taste of Armageddon, S1 23]
La virtualizzazione dell’economia potrebbe indicare una trasformazione positiva, spostando l'attenzione dalla guerra fisica verso soluzioni non violente. Le nuove economie digitali potrebbero diventare gli strumenti chiave per risolvere le tensioni globali. La speranza è che il progresso tecnologico ci guidi verso un mondo dove le battaglie saranno combattute con le idee, anziché con le armi. Perché andare tutti d'accordo è un'utopia, ma trovare consenso è sempre possibile.