Passo #6 - La ciotola e la vigna
Il confronto è il ladro della gioia [Theodore Roosevelt]
La Terza Guerra Mondiale è iniziata da tempo. Si tratta di una guerra strana, combattuta a colpi di sanzioni economiche e leggi ambientali. Al posto delle cannonate echeggiano svalutazioni, accise e dazi doganali. In questo silente conflitto mondiale, ecologia ed economia si fondono nella lotta per il futuro della razza umana. La posta in gioco non è solo il dominio sulle altre nazioni, ma la salvezza del pianeta. Anche se, ad essere sinceri, forse il pianeta non corre alcun pericolo: lottiamo per salvare la razza umana. Gaia si arrangia da miliardi di anni, può farcela anche senza di noi, anzi: forse meglio1.
Diciamo che meritiamo di estinguerci, e per certi versi concordo: siamo i principali responsabili di inquinamento, sovrappopolazione e riscaldamento globale. Eppure siamo anche animali, guidati da passioni, istinti e sentimenti. Ha forse ragione la bibbia? Qualche nostro antenato ha mangiato un frutto proibito, trasformandoci in un aborto di natura? Siamo davvero peggiori degli altri mammiferi? Io penso di no, anzi: penso che quasi tutti i nostri difetti siano di origine animale. Se fossimo davvero creature razionali, come i vulcaniani di Star Trek, avremmo già risolto i problemi ambientali da tempo. Ciò che noi chiamiamo civiltà è solo la sofisticata elaborazione di numerosi istinti animale. Proviamo ad azzardare qualche esempio:
Ciò suggerisce che il presunto peccato originale potrebbe essere conseguenza di istinti animali. Non siamo peggiori degli altri animali, anzi: siamo troppo migliori. Abbiamo potenziato gli istinti naturali diventando l’unico super predatore del pianeta. Siamo cattivi perché Madre Natura ci ha disegnati così.
Ispirati da questa osservazione proviamo ad analizzare la questione ambientale dal punto di vista evolutivo, per capire quali istinti animali potrebbero essere causa dei nostri problemi. Vediamo un’ipotetica sequenza di cause ed effetti:
L’istinto di sopravvivenza spinge alcuni individui ad accumulare più del necessario
Il bisogno di appartenere al branco spinge a conformarci agli status sociali
La necessità di conformarci implica il confronto dello status sociale con quello altrui (invece di guardare chi sta peggio, ci confrontiamo con chi sta meglio)
Compriamo, consumiamo e vogliamo sempre di più, per adeguarci a presunti standard che in realtà sono appannaggio di una sparuta minoranza
Qualcuno potrebbe obiettare “Non è vero, io me ne frego di cosa pensano gli altri!”, ma questa è solo una delle tante bugie che ci raccontiamo. Se non costruissimo le nostre aspettative sugli standard altrui, allora potremmo sentirci a nostro agio anche vestiti di stracci. Potremmo essere felici vivendo di pane ed acqua, o fare a meno di luce e gas. Invece, siccome vediamo altre persone beneficiare di questi comfort, l'idea di rinunciare ad essi minaccia il nostro diritto al benessere. Viviamo meglio di un nobile del seicento, ma ci confrontiamo con calciatori e modelle. L'uomo è la misura di tutte le cose, diceva Protagora.
Se questo è vero, allora l’attuale crisi ambientale non sarebbe dovuta alla rivoluzione industriale, al capitalismo o alle politiche nazionali: questi sono effetti dei nostri istinti animali, non le cause del problema. Le cause principali sono l’istinto di sopravvivenza e il senso di appartenenza al branco, che spingono al confronto continuo con chi ci sembra avere più di noi.
Ecco il nocciolo della questione: ogni volta che si parla di rinunciare allo shopping, viaggiare coi mezzi pubblici, mangiare meno carne o spegnare il climatizzatore, molti pensano “Perché dovrei sacrificarmi solo io?”. Se percepite la rinuncia allo status di consumatore come ad un sacrificio, avete appena dimostrato la tesi: la nostra definizione di “vita dignitosa” è tarata sulle aspettative della società. Se la ciotola degli altri è più colma della nostra, mostriamo i denti e ringhiamo.
La nostra tendenza ad alzare l’asticella in base alle aspettative sociali è nota da tempo. Nel 1954 Leon Festinger ha formulato la teoria del confronto sociale, o teoria dell’invidia relativa, verificandola sperimentalmente.
Uno dei miei esperimenti preferiti è il seguente: l’ignara vittima esce dal supermercato e viene premiata con un buono spesa da 100€, perché è il 999° cliente della giornata. In realtà è una finzione, si tratta di un esperimento, con telecamere e microfoni nascosti. Mentre il neo vincitore telefona a casa per annunciare la lieta novella, un attore (in combutta con gli sperimentatori) esce dal supermercato e finge di ricevere un buono da 1000€, in quanto millesimo cliente. Come reagisce l’ignara cavia dell’esperimento? Se un attimo prima stava dicendo al telefono “Che bella giornata, ho vinto 100€!”, appena vede qualcuno più fortunato di lui cambia completamente tono: “Ma che sfiga! Se uscivo un secondo dopo avrei vinto dieci volte tanto… che giornata di merda!”
Il fenomeno è ben noto nella saggezza popolare2. Prendiamo la storiella della vigna: un viticoltore vuole vendemmiare il vigneto entro il tramonto, e stima di riuscirci con una manciata di aiutanti. Scende in paese, offre 50€ per la giornata di lavoro e assume quattro lavoratori intermittenti, che si mostrano soddisfatti del compenso. Verso ora di pranzo il viticoltore si accorge di essere in ritardo, così torna in paese ed assume altri lavoratori, offrendo di nuovo 50€ per la giornata. Nel pomeriggio la cosa si ripete e l’imprenditore assume altri aiutanti, promettendo i soliti 50€. Al tramonto, quando paga i lavoratori, i quattro che aveva assunto la mattina si lamentano: “Non è giusto! Gli altri hanno lavorato poche ore e guadagnato la stessa cifra: noi dovremmo essere pagati di più!”. Se vi trovate d’accordo con questa affermazione, siete caduti nella trappola dell’invidia relativa: non state misurando l’equità del compenso in base al lavoro svolto né all’accordo siglato, ma in base al confronto con l’aspettativa media.
La teoria dell’invidia relativa non è l’unico fattore in gioco, esistono altri meccanismi che ci spingono a volere sempre di più. Secondo Barry Schwartz la rivoluzione mediatica ha portato ad un sovraccarico di scelte, per cui oggigiorno siamo bombardati da migliaia di opzioni alternative3. Il punto non è quante scelte esistono, ma quante opzioni sappiamo esistere. Ciò contribuisce allo stile di vita consumistico, con persone che cercano continuamente nuovi beni ed esperienze. Si tratta di un meccanismo quasi esclusivamente umano, che toglie un po’ di colpa dalle spalle di Madre Natura. Purtroppo è un’eccezione: la maggior parte dei meccanismi che ci spingono a desiderare la donna altrui, o l'erba del vicino, sono di origine animale.
La teoria dell’invidia relativa spiega il disagio delle popolazioni del terzo mondo. Oltre mezzo miliardo di persone vive senza elettricità, e almeno due miliardi non hanno accesso ad acqua potabile. Visto che noi consumiamo troppo, uno potrebbe dire: “Beh, beati loro, che non devono rinunciare a nulla: lasciamoli vivere come hanno sempre fatto”. Chi ragiona così non ha compreso la teoria dell’invidia relativa. Finché ignoravate l'esistenza degli smartphone eravate felici di trovare una cabina telefonica. Ma da quando sapete dei cellulari e vedete altre persone usarli, il vostro istinto animale vi spinge a pensare che farne a meno sarebbe un atto di rinuncia. All’improvviso la vostra ciotola non è piena abbastanza.
Il problema del terzo mondo non è la mancanza di acqua o elettricità; il problema è che loro sanno che questi servizi esistono, e che il resto dell'umanità può permetterseli. Una volta che il genio è uscito dalla lampada è difficile tornare indietro. Corriamo come pazzi e vogliamo sempre di più, ma non per colpa della pubblicità, della moda o dei bisogni indotti. La colpa è dei nostri istinti animali, che non si sono adattati al fatto che in occidente è quasi impossibile morire di fame. Mangiamo, compriamo, collezioniamo e tutto quello di cui veniamo a conoscenza. Desideriamo ciò che abbiamo sotto gli occhi, e lo vogliamo subito. Pubblicità e marketing sono lo strumento, non la causa del problema.
Immaginate un mondo dove chi è pallido venisse emarginato. In una società di questo tipo saremmo obbligati ad abbronzarci otto ore al giorno, per salvaguardare le nostre relazioni personali. Probabilmente ci troveremmo a litigare per un posto al sole. Chi sarebbe responsabile di tanto odio? La nostra invidia relativa, o il sole che dona la tintarella? Accusare il capitalismo, il consumismo, la pubblicità o il denaro dei nostri eccessi è come accusare il sole di stimolare la produzione di melanina. La responsabilità è solo nostra. Siamo programmati per adeguarci, ma ci piace illuderci di essere diversi, di pensare con la nostra testa e ignorare le opinioni altrui.
Non sto dicendo che la crisi ambientale sia dovuta solamente ai nostri istinti animali; esistono anche fattori culturali, economici e politici. Istruzione, educazione, scienza e tecnologia possono mitigare la natura umana, a volte persino superarla. La consapevolezza della diversità umana e delle soluzioni tecnologiche può contribuire a una prospettiva più equilibrata. Ma se vogliamo salvare il pianeta dobbiamo accettare la nostra natura animale, capire il suo legame con l’economia e lavorare su noi stessi. Secondo Nietzsche nessuno mente tanto quanto l'indignato: se davvero credete che la colpa sia del capitalismo o del consumismo, allora prendetevela anche con il sole, che continua ostinatamente a scaldarci ogni giorno.
La Grande Ossidazione è un esempio di come le condizioni ambientali del pianeta siano già cambiate in passato, e di come la vita sappia adattarsi a qualsiasi mutamento
La storiella originale è una parabola del vangelo (Mt 20,1-16)
Barry Schwartz, “Il paradosso della scelta”, 2004