Passo #7 - Apatia pecuniaria
Volere il meno possibile e conoscere il più possibile è la massima che ha guidato la mia vita [A. Schopenhauer]
Quando racconto della mia allergia al consumismo spesso vengo preso per un asceta. E a ragione, aggiungo io, perché è vero: sin dalla nascita soffro di ascetismo intellettuale. Perciò lungi da me l'idea di chiedervi di imitare ciecamente le mie gesta. Racconto della mia esperienza perché so di essere un estremista, e credo che siano proprio gli ottusi e i bastian contrari a cambiare il mondo. Io sono un faro, che vive solingo su una roccia selvaggia, felice di guardare i vascelli cambiare direzione grazie alle mie scaglie di luce guizzanti. Non dovreste navigare verso di me, bensì usarmi per illuminare la vostra strada.
A causa dell'ascetismo intellettuale ho disprezzato il vil denaro per mezzo secolo. Poi ho compreso che il mio odio era legittimo, perché l'economia di cui mi raccontavano era una gigantesca supercazzola. Quando ho capito che il denaro è un mezzo di trasmissione del valore, nonché una forma di energia, il fisico che è in me si è risvegliato. Ho smesso di vedere banconote, cifre e grafici azionari, e iniziato a vedere quanti d'energia, teoria dei giochi e principi della termodinamica. A vent'anni compresi che tempo e denaro erano la stessa cosa, a cinquant’anni chiusi il cerchio capendo che anche denaro ed energia sono connessi. Ecco perché il mio disprezzo per il denaro mi lasciava sempre a corto di tempo e risorse! Quando ho capito cosa dovrebbe essere davvero il denaro, e cosa dovrebbe essere l'economia, il rancore si è sciolto in una onesta ammissione di candida ignoranza.
Ma torniamo al problema dell’ascetismo intellettuale. Ho già spiegato come noi esseri umani tariamo l'asticella dei desideri non su quanto possediamo, né su quello che ci renderebbe felici, bensì su ciò che sappiamo essere raggiungibile. Guardiamo la ciotola del vicino per decidere se abbiamo fame. Essendo anch'io umano, sono altrettanto vittima dell'invidia relativa. Eppure non compro quasi nulla, sono immune a mode, vestiti, ristoranti e hotel di lusso. Dove si cela la mia invidia relativa, se non acquisto beni materiali? Semplice: ho una dipendenza innata nei confronti della conoscenza. Preferisco saltare i pasti piuttosto che rinunciare allo studio. C'è chi soffre perché non ha i soldi per andare in vacanza, io soffro se non ho il tempo per assimilare l'intero scibile umano. Molti sognano yacht o auto sportive, io invidio la conoscenza e l'intelligenza delle persone più sveglie di me. In un mondo con accesso illimitato alla conoscenza, soffro la fame come l'asino di Buridano. La maggior parte delle persone vorrebbe più denaro, io vorrei più tempo. Sono anche io vittima del paradosso della scelta, con la differenza che oltre a non riuscire a scegliere il modello di cellulare, faccio fatica anche a decidere cosa studiare, cosa imparare, cosa condividere.
Ecco perché mi viene facile rinunciare al consumismo. Il mio è un ascetismo meramente intellettuale. Spendo come tutti, ma invece di acquistare oggetti materiali, uso il denaro per comprare tempo: meno cose acquisto meno devo lavorare, e meno devo lavorare più posso studiare. Investo volentieri in viaggi e salute, per arricchire e prolungare il piacere intellettuale. Il mio ecologismo è (in parte) un effetto collaterale non voluto, una forma di egoismo utile a Madre Natura.
Ho parecchi amici che, come me, odiano il denaro. Per motivi diversi dai miei, ma soffrono allo stesso modo. Persone che preferiscono l'amore ai soldi, l'arte al potere, la scienza ai diamanti, la spiritualità ai vestiti. Considerano volgare (o addirittura meschino) parlare di soldi e profitto, e per questo si arrabattano tra mille difficoltà. Paradossalmente, il loro disprezzo per il denaro (spesso a favore di un bene superiore) si manifesta attraverso una disastrosa gestione delle risorse, per cui si ritrovano a non avere né il tempo né le forze per dedicarsi al loro obbiettivo. Vivono male perché remano contro corrente, ma incolpano il fiume di scorrere nella direzione sbagliata.
Questa rubrica è dedicata a loro. Persone che danno anima e corpo per impegni sociali, artistici, politici o scientifici, e proprio per questo arrancano per vivere. Finché si tratta di una scelta consapevole, va tutto bene. Ma in troppi si lamentano di non avere tempo, o di essere sempre stanchi, senza accorgersi di gestire male risorse, talento e tempo. La vera economia non riguarda la finanza o la fiscalità: la vera economia mira a ridurre la fatica e massimizzare i risultati, a valorizzare le risorse non sfruttate, a incentivare le opzioni più efficienti. Quando dico risultati, risorse e opzioni non parlo di azioni, soldi o obbligazioni, ma di affetti, talenti e comportamenti. L'economia è ovunque: regola il metabolismo, incentiva le trasmissioni ormonali, guida la selezione delle specie. Se vivete male il rapporto con il denaro la colpa non è dell'economia, ma della vostra ignoranza. Non avete ancora accettato che valore ed energia sono intimamente connessi.
Per convincere i puri di cuore che ho davvero sofferto di apatia pecuniaria, vi racconto alcuni dei miei fallimenti. Qualcuno riderà della mia stupidità, ma mi espongo volentieri al pubblico ludibrio, se così facendo riesco a raggiungere chi soffre dello stesso disagio e aiutarlo a guarire.
Iniziamo dalla mia incapacità di gestire una partita IVA. Quand'ero libero professionista mi rifiutavo di timbrare le schede carburante. Vivevo a Padova e lavoravo a Vicenza, per cui era evidente che facevo il pendolare. Perché dovevo dimostrare allo stato che un decimo del mio stipendio se ne andava in trasporti? Come il marito che si taglia gli zebedei per far dispetto alla moglie, io non timbravo le schede carburante credendo di far dispetto allo stato.
Nel 2005 mi venne offerto un lavoro full-time da cinquemila euro al mese. Ero povero, vivevo in affitto1 e non avevo i soldi per andare in vacanza, ma rifiutai e scelsi un part-time da pochi soldi: il mio tempo libero era più importante del denaro.
Nel 2012 un cliente emise una fattura con data 2011, ma pagata nel 2012. Il commercialista disse che non era un problema, ma io insistetti per pagarci due volte le tasse: nel 2011 e nel 2012. Ero stupido? Sì, perché mi illudevo che la mia protesta potesse incrinare la macchina fiscale. Ero tanto idealista quanto ignorante.
Tra il 2013 e il 2015 il mio curriculum vitae iniziò a farsi interessante e iniziarono ad arrivare le offerte di lavoro da parte delle banche. Ancora oggi, quando rispondo, godo come un porco:
- No, grazie. Per principio rifiuto a priori qualsiasi lavoro in banca, assicurazioni o simili.
- Ma non le abbiamo ancora comunicato il compenso ...
- Non importa: qualsiasi sia la cifra, rifiuto. Arrivederci e grazie per il pesce.
Questa sintomatologia suggerisce che la mia apatia pecuniaria non sia dovuta solo all'ascetismo intellettuale. Ho anche un'innata avversione verso il marketing e la pubblicità. Ho scritto romanzi, pubblicato software e inventato giochi da tavolo, ma non sono mai riuscito a pubblicizzarli. Stento a vedere la differenza tra un venditore e un mendicante. Se io entro in un panificio e compro una pagnotta, sono io che chiedo del pane. Ma se il fornaio mi bussa alla porta e mi chiede se voglio del pane, o lo pubblicizza, allora non è molto diverso da chi chiede la carità. Il fornaio chiede soldi in cambio del pane, il mendicante li chiede in cambio di endorfina, ossitocina, dopamina e serotonina: i mendicanti offrono iniezioni di bontà surrogata in cambio di qualche spicciolo, e alla gente piace pulirsi la coscienza (come gli piace il pane).
L'apatia pecuniaria può avere anche altre cause. C'è l'orgoglio, come la volta che mia madre mi firmò un paio di assegni che non ho mai incassato. Ero ridotto al lastrico, ma ho preferito indebitarmi piuttosto che toccare quei soldi. Mio padre era morto da pochi mesi, mia madre era invalida, incassare quegli assegni mi avrebbe fatto sentire una merdaccia.
Oppure c'è lo spirito del bastian contrario. Quando facevo il barbone mi vantavo di essere povero, perché mi faceva sentire migliore dei maiali assetati di profitto. Ero orgoglioso di lavorare solo due ore al giorno e vivere di riso, burro e patate. Ne andavo fiero perché la povertà mi liberava dal giogo delle otto ore di lavoro. Ma, col senno di poi, devo ammettere che lo facevo anche per disprezzare ciò che la società venera come un dio: il vil denaro.
A volte l'apatia pecuniaria è provocata dai traumi fiscali. Apri partita IVA, ti illudi di guadagnare, poi arriva la notifica di versamento e devi chiedere un prestito per pagare le tasse. Oppure produci articoli di bigiotteria nei mercatini, per scoprire che anche lì dovresti rendicontare le vendite e pagarci le tasse. Dopo queste brutte esperienze è ovvio gli spiriti liberi finiscano con l’odiare il denaro. Immaginate un modo dove sia obbligatorio emettere uno scontrino per ogni sorriso elargito, cronometrare la durata del risolino e pagarci una tassa. In poco tempo finiremmo con l'odiare i sorrisi. Eppure i sorrisi sono un mezzo di scambio della felicità, così come il denaro è un mezzo di scambio del valore. Se vi siete scontrati contro il fisco o qualche legge ingiusta, allora dovreste odiare lo stato, non il denaro. Altrimenti state odiando chi vi sorride.
Secondo Weber2 l'ascetismo intellettuale, caratterizzato da uno stile di vita frugale e dal risparmio, è una sorta di capitalismo spirituale. Una cosa simile l'ha detta Sennet3. Molte persone preferiscono investire tempo nello studio o nell'arte, piuttosto che occuparsi del profitto: hanno una funzione di utilità diversa da chi ragiona in termini di profitto. Spesso gli intellettuali, idealisti, artisti e asceti odiano il denaro perché amano la conoscenza, adorano la bellezza, la condivisione di emozioni. La colpa è anche della finanza, che ci bombarda con nozioni di economia teorica, dove si parla di percentuali, investimenti, speculazione, spread, euribor, taeg e plusvalenze. Ci impongono un denaro virtuale, privato del suo legame naturale con l'energia e spogliato dalla funzione tanto cara a noi asceti intellettuali: il valore.
Se vi tappate le orecchie ogni volta che vi parlano di soldi, avete ragione: l'economia e il denaro moderni sono corrotti. Su una cosa però vi sbagliate: se qualcuno viene a parlarvi della vera economia, basata sull'analisi scientifica degli ecosistemi, non fate orecchie da mercante. Provate a mettere in discussione la vostra definizione di denaro. Forse scoprirete che il denaro dovrebbe essere qualcosa di diverso, e che l'economia dovrebbe essere una branca della fisica. Così come la fisica riguarda gli scambi di energia nell'universo, l'eco-nomia dovrebbe occuparsi degli scambi energetici all'interno di un eco-sistema (magari in modo sinergico con l’eco-logia).
Quando capirete cosa è davvero denaro, e cosa dovrebbe essere l’economia, potreste scoprire di essere dei capitalisti. Dei capitalisti spirituali, che investono tutto nell'arte, nell'amore o nella scienza, ma comunque una sorta di capitalisti. Il problema non è lo strumento, ma l'uso che ne facciamo. E se vogliamo usare lo strumento denaro nel modo giusto, cioè per scambiare valore e felicità, dovremmo prima capire cos’è.
Vivo ancora in affitto, ma da quando ho fatto pace col denaro, finalmente lotto anche io per avere un mutuo (o almeno ci provo)
Max Weber, “L'etica protestante e lo spirito del capitalismo”
Richard Sennet, “L'uomo artigiano”